Sponsorizzare un vino, collaborare con le aziende è giusto o sbagliato? Domande che vedo spesso porre ultimamente e che mi lasciano abbastanza spiazzata. Stiamo parlando di moralità o semplice invidia?

Chi direttamente chi indirettamente, ma non facciamo forse parte tutti noi di questo “circolo”?

Riflettiamoci… Quando ci scattiamo una foto o ci filmiamo mentre degustiamo una bottiglia di vino appena stappata per poi condividerla sui social sotto forma di post o di storia e mettiamo il “tag” della pagina del produttore, non è forse una forma di “sponsorizzazione”? Io credo di sì.

Per ogni momento storico corrisponde un metodo di commercializzazione, di pubblicità differente e nel 2020 è inutile continuare a negare l’evidenza, la più grossa forma di marketing è proprio quella utilizzata mediante social media.  Molti settori, così come quello vitivinicolo hanno sempre utilizzato la figura dei “rappresentanti” per poter incrementare le vendite e non me ne vogliano coloro che tutt’ora svolgono questa professione, ma il “winelover” ingaggiato da un produttore per far conoscere i suoi vini mediante canali quali Instagram, piuttosto che Facebook o YouTube non ha un fine equivalente? Si mira sempre alla promozione di un prodotto, a renderlo conoscibile a più persone per giungere a delle vendite nonché al guadagno per quel produttore. È forse sbagliato?

Parlando con vari “Instagrammer” che trattano esclusivamente di vino è chiaro che la collaborazione aziende viticole e winelovers non è considerata sbagliata, ma il problema di fondo sta nell’approccio che possono avere alcuni di questi così come alcune cantine.

L’approccio di colui che sfrutta la sua fama proponendosi all’azienda, con arroganza e in cambio di prodotti. Questa figura inizia ad essere scomoda, anzi, inizia proprio ad essere detestata, in primis dai produttori in secundis dagli appassionati che tale “sfacciataggine” la considerano tutto tranne che passione per il vino, chiamiamola una forma di speculazione di cattivo gusto.

Ci sono poi soggetti che tramite la loro pagina social cercano di trasmettere quella che è la loro passione per questo mondo, cercano di passarla ad altre persone mettendo in pratica quelle che sono le competenze personali in materia. Figure che iniziano ad attirare sempre più l’attenzione delle aziende le quali credono in questi soggetti e vogliono investire in essi per promuovere i propri prodotti. Nulla di male, è lo stesso identico modus operandi di uno stilista che colpito da una determinata modella la contatta per farle indossare i suoi abiti; è come un’azienda di prodotti per la beauty routine che ingaggia un’atleta per farglieli sponsorizzare; è come un’azienda di prodotti alimentari che investe sulla figura di un’attrice per pubblicizzare gli stessi.

Come sostiene una grande professionista del settore, Simona Geri, con la quale ho avuto il piacere di confrontarmi su questa tematica, “ci sono diverse figure sui social e sono le cantine a dover scegliere; purtroppo tante volte se non sono appoggiate da agenzie di marketing che lavorano cercando di barcamenarsi tra gli account, commettono errori. Non bastano i followers, le cantine devono esigere i SMK con gli ER perché è inutile avere 100.000 followers con un ER pari allo 0,3 o con post di 500 like. Però non è neanche giusto l’approccio di alcune.” Da considerarsi poco corretto infatti, è anche l’approccio di quel produttore che contatta Tizio o Caio per farsi pubblicizzare i vini a titolo gratuito o inviando un campione omaggio. E’ ancora troppo comune pensare che l’opera di colui che impiega del tempo per informarsi, creare contenuti idonei, che espone sé stesso per quell’azienda sia un passatempo, un gioco per chi non ha altro da fare nella vita, sbagliato! Si tratta di un lavoro a tutti gli effetti, come qualunque altra professione servono competenze, ore di studio, passione, impegno, tempo… è sì… tempo, perché pubblicare una singola foto con una didascalia che abbia dei contenuti competenti può richiedere anche delle ore. Non dimentichiamo inoltre che molti soggetti che prestano questo genere di servizio sono titolari di Partita Iva, hanno delle spese da sostenere come qualsiasi altro professionista, dunque smettiamola di non considerarlo un lavoro! Vuoi che i tuoi prodotti vengano sponsorizzati da Tizio/a? Bene, ma iniziamo a considerare che si tratta di un rapporto di lavoro a prestazioni corrispettive!

In tutti i casi sopracitati, alla base ci sono dei prodotti e quest’ultimi non si vendono da soli! Che sia il bel faccino, l’intenditore per eccellenza o ahimè…lo speculatore di turno, a qualcuno spetta il ruolo di saper vendere!

Forse l’avversione da parte di alcuni, a questa nuova forma di marketing, sta proprio nel sentire il nome di “influencer” o “winelover”, che può non essere compreso o essere frainteso; potremmo allora superare questo scoglio coniando il termine “rappresentanti digitali”?

Riflettendoci bene, la soluzione a tutto questo dibattito potremmo già averla.

In data 16 aprile 2019 è stato pubblicato il decreto dell’enoturismo. Nello specifico il decreto all’art.2, intitolato “Linee guida e indirizzi in merito ai requisiti e agli standard minimi di qualità per l’esercizio dell’attività enoturistica”, prevede i requisiti e standard di servizio per gli operatori che svolgono attività enoturistiche.

Riguardo al “personale addetto”, dice la norma, deve essere “compreso tra il titolare dell’azienda o i familiari coadiuvanti; i dipendenti dell’azienda ed i collaboratori esterni”. Su questo punto può essere mossa una critica alla mancanza di dettaglio del legislatore nella parte in cui cita i “collaboratori esterni”; ma è proprio su questo che, a mio giudizio, potremmo trovare una soluzione al dibattito “sponsorizzazioni” o “collaborazioni” quale le si voglia chiamare.

Nella norma non è indicato chi si vuole includere esattamente nella categoria, potrebbe essere considerato collaboratore anche il semplice rappresentante di vino, piuttosto che il vicino produttore di formaggi che fornisce il suo prodotto in occasione delle degustazioni previste presso la cantina.

Ma veniamo al nostro punto d’interesse… chi è del settore, ha visto negli ultimi anni l’emergere di queste nuove figure che esercitano un’influenza sempre più incisiva nella scoperta del settore enoturistico nonché delle varie zone autoctone vitivinicole e di prodotti annessi; si tratta dei già citati “winelovers” o “wineblogger”. Dal momento che molte aziende vitivinicole iniziano sempre più ad utilizzare i servizi di questi soggetti per pubblicizzare i propri vini, non sarebbe il caso di considerarli nella voce “operatori esterni” e dare finalmente una concretizzazione a tutta questa forma di merchandising che sta travolgendo il settore?

Jessica Rossetti

Rispondi