All’interno dell’Unione europea l’Italia è il Paese che riporta il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e di indicazione geografica. Questa è una dimostrazione di quanto siano ritenute di qualità le produzioni del nostro paese e, in particolare, del forte legame che lega tali prodotti agroalimentari con il territorio d’origine.
Il sistema di certificazione comunitaria, ovvero il riconoscimento delle indicazioni geografiche rappresenta uno strumento utile per i consumatori, i quali grazie ai sistemi di tracciabilità, rintracciabilità e di sicurezza alimentare si trovano maggiormente tutelati e consapevoli del prodotto agroalimentare che si trovano ad acquistare. Allo stesso tempo il medesimo sistema, essendo in stretta connessione con il territorio, favorisce lo sviluppo economico dello stesso e contribuisce ad una maggiore tutela dell’ambiente e salvaguardia degli ecosistemi. Per comprendere il forte impatto che a livello produttivo ed economico ha e può avere con sempre più importanza il settore agroalimentare, è bene riportare qualche numero.
L’Italia manifesta ben 298 prodotti riconosciuti dall’Unione europea con le menzioni di qualità DOP (denominazione d’origine protetta), IGP (indicazione geografica protetta) e STG (specialità tradizionale garantita). Nel settore vitivinicolo il riconoscimento è ancora più considerevole con l’esibizione di 523 etichette di vini qualificati DOCG (denominazione di origine controllata e garantita), DOC (denominazione d’origine controllata) e IGT (attuale IGP).
Questi segni di qualità che si trovano sul mercato sono strumenti importanti che permettono al consumatore medio di riconoscere e scegliere i prodotti agroalimentari e vinicoli di particolare pregio. È opportuno fare chiarezza sulle differenze sostanziali che contraddistinguono tali indicazioni, in particolare “DOP e IGP che costituiscono i principali strumenti giuridici mediante i quali viene tutelato il legame qualità-territorio in Europa”.

Il Parlamento assieme al Consiglio europeo con il regolamento del 2012 n° 1151 distingue con l’acronimo DOP “un prodotto originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati; la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani; e le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata”. Il nome IGP, ai fini del regolamento, identifica un prodotto “originario di un determinato luogo, regione o paese; alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità; reputazione o altre caratteristiche; e la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata”.
La differenza sostanziale tra le due indicazioni ricade proprio sul rapporto tra il prodotto e il territorio, il quale risulta molto più fermo e radicato nelle DOP rispetto alle IGP. Mentre nei prodotti DOP le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire tutte e tre nella medesima area geografica di riferimento, in quelli IGP è sufficiente che una soltanto delle tre fasi venga eseguita nel territorio attinente.

Tra i prodotti italiani DOP e IGP troviamo aceto, cereali, frutta e verdura, carni, formaggi e così via, rimangono esclusi i vini i quali non trovano un dettato normativo nel medesimo regolamento previsto per i prodotti agroalimentari, ma nel Regolamento del 17 dicembre 2013, n° 1308. In Italia, in enologia è utilizzato il segno DOC o DOCG e dal 2010 tali classificazioni sono state ricomprese nella categoria comunitaria delle DOP.
Dopo aver brevemente descritto il mondo delle certificazioni di qualità pare opportuno porre l’attenzione proprio sul significato che si vuole dare con l’aggettivo di “qualità”. Tale concetto non è dotato di un’unica e onnicomprensiva definizione, e nel tempo ha subito svariate evoluzioni e accolto i più svariati significati. Nello scenario agroalimentare si è passati da un’idea di qualità connessa ad un concetto di quantità, ossia la quantità di cibo sufficiente per soddisfare il fabbisogno della popolazione. Con il passare dei secoli l’attenzione si spostò verso la ricerca di qualità intesa come “l’insieme delle proprietà e caratteristiche di un prodotto o servizio che gli conferiscono l’attitudine a soddisfare bisogni espressi o impliciti”.
E’ chiaro che per considerare un prodotto o un servizio di qualità, una forte influenza deriva dalle esigenze e le conseguenti soddisfazioni del consumatore. Quest’ultimo ricopre un ruolo centrale per la determinazione del concetto di qualità, richiedendo prodotti sicuri, genuini e possibilmente nel rispetto dell’ambiente. All’ immagine di qualità percepita dai consumatori si affianca quella riconosciuta dalle industrie nonché dalla GDO (grande distribuzione organizzata), improntata sulle innovazioni tecnologiche e sulla sicurezza alimentare. Indipendentemente da chi sia l’interessato, sia esso consumatore, produttore o distributore, alla qualifica di qualità viene apposta quella di sicurezza alimentare: intesa come “la situazione in cui tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscono i loro bisogni e preferenze alimentari per condurre una vita attiva e sana”.

Rimanendo in ambito sicurezza alimentare, il legislatore europeo ha adottato un approccio cosiddetto “di filiera”, significa che considera tutte le fasi di vita di un prodotto. La presenza di rischi legati alla salute non emerge esclusivamente nella fase di imballaggio del prodotto, nella fase di trasporto dello stesso o nella sua commercializzazione. Intossicazione alimentare, infezione alimentare sono le possibili conseguenze al consumo di alimenti contaminati o trattati senza rispettare le norme previste per i vari casi di specie; può verificarsi negli allevamenti un uso eccessivo di farmaci, nelle coltivazioni l’utilizzo di pesticidi o metalli pesanti, il problema legato alla sicurezza e alla salute può sorgere dunque fin dalla produzione primaria. A tal proposito per garantire la qualità in termini igienico-sanitari si ricorda che un ruolo fondamentale è ricoperto dal regolamento comunitario del 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, il quale afferma che “per garantire la sicurezza degli alimenti occorre considerare tutti gli aspetti della catena di produzione alimentare come un unico processo, a partire dalla produzione primaria inclusa, passando per la produzione di mangimi fino alla vendita o erogazione di alimenti al consumatore inclusa, in quanto ciascun elemento di essa presenta un potenziale impatto sulla sicurezza alimentare”.
Abbandonando la visione di qualità intesa quale prodotto rispettoso della sicurezza e della salute delle persone, esiste un’ulteriore aspetto che viene fatto rapportare alla dizione “qualità”: si tratta dell’origine geografica del prodotto. Fu in primis l’ordinamento giuridico europeo ad attribuire la nozione di qualità a quei prodotti che presentavano delle caratteristiche organolettiche e chimico-fisiche particolari, caratteristiche cosiddette oggettive. In corrispondenza di ciò, l’origine geografica del prodotto comportava una maggiore tutela giuridica quando da tale origine dipendevano caratteristiche qualitative effettivamente superiori.
Successivamente si verificò un diverso approccio da parte della Corte di Giustizia prima e della Commissione europea poi, le quali con opinioni espresse ritenevano meritevoli di tutela anche quei prodotti che non presentavano caratteristiche oggettive, ma rappresentanti di una specifica zona geografica e capaci di distinguersi sul mercato.

Meritevole di attenzione, in quanto sottolinea l’importanza di esaltare la qualità di un prodotto in connessione con il territorio d’origine è il “Libro Verde sulla qualità dei prodotti agricoli”. Quest’ ultimo è un documento tramite il quale la Commissione delle Comunità europee con una serie di domande ha lo scopo di raccogliere opinioni e suggerimenti per nuove iniziative da intraprendere relativamente alle politiche previste per supportare la qualità dei prodotti agroalimentari e vitivinicoli dell’Unione Europea. Nel medesimo si riscontra una nuova idea di qualità, la quale viene fatta coincidere “con il soddisfacimento delle aspettative dei consumatori” infatti la Commissione precisa che “le qualità di cui si parla nel presente Libro verde sono le caratteristiche del prodotto, quali i metodi di produzione utilizzati o il luogo di produzione, che il produttore desidera far conoscere e che il consumatore vuole conoscere”.
Alla luce di quanto analizzato, oggigiorno il concetto di qualità e di sicurezza alimentare rivestono un ruolo fondamentale non solo per coloro che lavorano nel settore agroalimentare, ma per l’intera società; si è così passati da una visione ristretta al solo fabbisogno alimentare fino a giungere negli ultimi anni ad associare e ricercare nel requisito qualità i concetti di sicurezza, tracciabilità e conoscenza dell’intera filiera produttiva.
Jessica Rossetti
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